domenica 18 settembre 2011

DEDICA


                                                                  Ai bambini
                                                                                                                                                             che vivono la loro infanzia
                                                                                                                                               con i trastulli di questo mondo
                                                                                                                                                                dimentico di fantasia …

PREMESSA

C’era una volta un frate che viveva in un convento insieme ad altri frati e quando usciva per le strade del paese per fare delle compere, veniva sempre contornato dai bambini che attirava come mosche al miele raccontando loro delle storie, alcune più lunghe, altre più corte.
I bambini si divertivano molto a sentire queste storie.

Alcune di queste mi è capitato di sentirle raccontare anch’io quando ero bambino e ancora quasi me le ricordo.
Provo a raccontarle anche a voi che spero non me ne vogliate se vi stancate a sentirle perché le trovate un po’ superate.

STORIE DI PIANTE E DI ANIMALI

UNA MOSCA DISPETTOSA - STORIE DI PIANTE E DI ANIMALI


Si sa che le mosche sono tipe curiose: quando possono mettono le zampette dappertutto, veloci come sono non danno il tempo alle persone di coprire le pietanze che hanno cucinato, che vi si precipitano sopra a succhiarne il sapore.
Ma proprio perché vanno sempre di fretta non stanno a preoccuparsi di pulirsi le zampette dopo che sono state a giocare sulla cacca delle mucche in un prato e arrivano di corsa a ronzare intorno ad una torta messa a freddare dopo la cottura.
Le persone non gradiscono di mangiare fette di torta condite con le impronte di mosche di chissà quali sporcizie. Infatti le persone perbene tengono molto all’igiene e prima di mangiare si lavano le mani e mangiano solo usando posate pulite.

La signora Domitilla era una cuoca sopraffina, per sé e per il marito cucinava pietanze prelibate che facevano arrivare al settimo cielo il palato. Sapeva che le mosche era meglio tenerle alla larga e per riuscirci, prima che iniziassero a ronzare, posizionava delle retine fine alle finestre, chiamate zanzariere, che non consentivano l’accesso agli insetti volanti dai moscerini ai calabroni. Gli odori delle pietanze che cucinava aleggiavano intorno alla casa dopo essere usciti dalle finestre aperte e gli insetti erano attratti da quegli aromi invitanti. Si erano tutti accalcati davanti alle retine, provando più volte ad entrare.
Le più insistenti, manco a farlo apposta, erano proprio le mosche che le escogitavano tutte per forzare l’accesso. Ma ogni volta che ci provavano sbattevano la testa sulla retina senza riuscire a raggiungere alcun apprezzabile risultato.

Una mosca in particolare si era incaponita nell’impresa e più delle altre tentava di entrare. L’avevano soprannominata “dispettosa” per via del suo carattere impertinente che la faceva essere fin troppo insistente.
A furia di ronzare intorno alle finestre e camminando in lungo e in largo sopra le maglie delle retine, alla fine in un angolo nascosto della finestra della cucina, trova un piccolo varco che le consente di passare, stringendo le ali e spingendosi a forza.
Gli altri insetti che si erano stancati di tentare, all’improvviso se la sono trovata dall’altra parte della zanzariera che ronzava felice facendosi beffe di loro e che si gettava più volte sulle pietanze che la signora Domitilla aveva preparato.

L’invidia già serpeggiava tra i suoi simili per il raggiunto risultato, quando però il ronzare esasperato aveva attirato l’attenzione del marito della signora, che, armato di paletta, alla dispettosa mosca le suonò di santa ragione in tutta fretta, non dandole nemmeno il tempo di gustare a pieno il sapore della vittoria effimera che aveva raggiunto.

Alle formiche che nel prato l’hanno raccolta morente per condurla nel loro magazzino di provviste per l’inverno futuro, la dispettosa mosca non ha quasi potuto proferir parola e in un sospiro vi ha lasciato tanta vana gloria.



IL ROSPO CON LA CRAVATTA - STORIE DI PIANTE E DI ANIMALI








Nello stagno tuttoilmondo vivevano un mucchio di creature, alcune più grandi, altre più piccole, ognuna di esse conduceva la sua esistenza cercando di non farsi mangiare e di mangiare a sua volta per non morire di fame.
In questo garbuglio di esistenze intrecciate nel ciclo della vita, la storia che mi trovo a raccontare ha dell’incredibile per la circostanza dello strano abbigliamento.
In questo stagno in cui i rospi conducevano la loro esistenza gracidando e mangiando libellule, mosche ed altri insetti, un giorno uno di loro guardandosi meglio nello specchio d’acqua da sopra una foglia, notò che per distinguersi dalla moltitudine dei rospi ai quali somigliava fin troppo e per darsi un tono di eleganza che ne avrebbe messo in evidenza il carattere aristocratico,  era il caso che si procurasse un elemento d’abbigliamento.
Si confezionò con le proprie zampe, non senza dover superare molteplici difficoltà, una cravatta con una foglia stretta e lunga, improvvisando un nodo improbabile a memoria, dato che tempo prima gli era capitato sotto gli occhi un brano di un foglio di una rivista in cui da una foto si intravedeva una cravatta.

Quando si avvicinò agli altri rospi, tutti presi a cacciare per cena, quasi non lo notarono. Poi accortisi della particolarità, iniziarono a gracidare sempre più forte, divertiti dalla buffezza dell’idea. A memoria di rospo non se n’era mai visto uno che portasse la cravatta. Per giunta questa sembrava anche lunga, tanto che arrivava a toccare il suolo tra le zampe di chi la indossava.

Si sentiva soddisfatto della figura che faceva e non gli importava se il gracidare che si sentiva intorno era di divertito scherno: sicuramente una rospa si sarebbe sentita molto più attratta da un rospo così elegante.
Tutte queste congetture quasi gli facevano dimenticare che era già ora di cena. Gli altri rospi si erano già da tempo scelti i posti intorno allo stagno e avevano teso le loro trappole con le lingue e avevano già divorato diversi insetti. Se non voleva restare a bocca asciutta era il caso che si desse anche lui da fare, tanto più che il suo stomaco aveva già iniziato a brontolare.

Si scelse un posto e vi si appostò con tutta la sua cravatta che gli cadeva sui piedi, con calma si predispose all’attesa.
Dopo un po’ una mosca si avvicinò, lui fece per spiccare il salto per afferrarla al volo, ma la cravatta che aveva tra le zampe lo fece incespicare e invece di saltare in alto, si ritrovò a rotolare giù fin dentro lo stagno.
Quando uscì dall’acqua tutto grondante e livido per la brutta figura, oltre il gracidare divertito di tutta l’allegra brigata di rospi e rospe dello stagno, si dovette pure sorbire il ronzare eccitato degli insetti.
Non solo la mosca che aveva mancato, ma anche altri insetti, generalmente prede impotenti, si facevano beffe della sua cravatta.

Dopo quel giorno, che difficilmente si sarebbe dimenticato, nello stagno non si vide più nessun rospo con la cravatta.




LA CHIOCCIOLA CON L'OMBRELLO - STORIE DI PIANTE E DI ANIMALI

Si sa che gli animali a volte vorrebbero esprimere una particolare sensibilità d’animo che spesso la loro condizione di vita stretta tra il bisogno di cacciare per nutrirsi e il sopravvivere ai tentativi dei predatori di cacciarli non gli consente.
Le chiocciole poi sono degli animali estremamente delicati: quando camminano lo fanno in silenzio lasciando un’umida scia del loro passaggio.
Amano la pioggia, infatti durante e dopo i temporali escono fuori dalle loro case e camminano felici sul terreno bagnato.

Però può capitare che a qualcuna di loro non piaccia bagnarsi quando cammina per le gocce che le cadono dall’alto.
In particolare una chiocciola che per ripararsi dalle gocce che le cadevano sugli occhi dalle foglie alte sotto le quali si trovava a passare, le venne l’idea di costruirsi un ombrello, un bellissimo ombrellino colorato. Non chiedetemi come fece, dato che non lo so neanche io.
Quando le altre chiocciole la videro ripararsi sotto l’ombrellino colorato che teneva con la bocca, risero e la additarono con disprezzo : non poteva essere una di loro se non si uniformava ai comportamenti e voleva ad ogni costo esprimere una propria personalità.

Si sa che dopo la pioggia le chiocciole escono fuori e camminano sui prati alla ricerca di erba fresca da mangiare.
Lo sanno anche i contadini che dopo i temporali che a volte gli rovinano i raccolti, escono con grandi sacchi a raccogliere chiocciole da fare al sugo o in brodo senza nemmeno fare molta fatica.

I contadini sono ben contenti quando possono faticare meno. Sempre curvi sui campi a zappare e a lavorare la terra per raccolti che ogni tanto sono scarsi o non arrivano.

Un contadino che era uscito dopo il temporale con il suo sacco da riempire, vi aveva già infilato molte chiocciole, quando improvvisamente si imbattè nella chiocciola con l’ombrellino: vi lascio immaginare il suo stupore.

Esiste un detto a proposito del contadino: scarpa grossa e cervello fino.
Spesso i detti dimenticano i sentimenti che provano le persone, limitandosi a etichettarle come fossero bottiglie da tenere dietro le vetrine.

Quel contadino si rese conto di essere davanti ad un animale che esprimeva una propria personalità. Spesso le persone non badano agli animali che hanno davanti, li prendono e se li cucinano come fossero già pietanze buone solo da mangiare.
Quel contadino si commosse di fronte a quella chiocciola così raffinata e a dispetto della sua pancia vuota e del suo stomaco che già borbottava, invece di continuare a raccogliere chiocciole, decise di vuotare il sacco e lasciò liberi tutti quegli animaletti che aveva già catturato.

Le altre chiocciole da quel giorno impararono ad esprimere anche le loro vene artistiche confezionandosi tanti ombrellini colorati.

Se tante volte capitate da quelle parti in un giorno di pioggia in pieno autunno non stupitevi  di trovare tanti colori nel verde dei prati, non sono i fiori, ma gli ombrellini delle chiocciole che vi  passeggiano in mezzo.

LA FOGLIOLINA CHE NON VOLEVA CADERE - STORIE DI PIANTE E DI ANIMALI


A volte il naturale svolgersi delle cose subisce delle soste improvvise ed eccezionali che ne confermano la regola come consuetudine.
Così come a volte i bambini vorrebbero non crescere e prolungare nel corso della vita la durata della spensieratezza dell’infanzia ed i vecchi che, giunti vicino al termine della loro, vorrebbero continuarla all’infinito, può succedere che su un albero una foglia si rifiuti di staccarsi dal ramo e di lasciarsi cadere sul terreno.

Accadde così che l’autunno trascorse con le foglie che cadevano ad una ad una dopo essersi salutate iniziavano il loro viaggio di ritorno alla terra che l’aveva generate. Ma mentre le altre foglie vicine sparivano dalla sua vista, una fogliolina un pochino più piccola delle altre, si era intestardita a voler a tutti i costi restare attaccata al suo ramo, perché voleva vedere la primavera.
Lei la primavera non l’aveva ancora vista, o meglio, non essendo germogliata all’inizio insieme alle altre più grandi, si era persa la parte iniziale della primavera, quella che le più anziane le avevano descritto come la più bella : quando arrivano da lontano le rondini a costruire i nidi.

Le poche foglie rimaste sentivano vicino il momento del distacco dai rami e trattenevano a stento i loro lembi soffiati dal vento.
La fogliolina affrontava con coraggio la sfida: nessuna foglia aveva mai superato il limite dell’autunno e nessuna di loro sapeva cosa ci fosse dopo.
La loro esistenza era segnata da un inizio e da una fine scandite dalla primavera e dall’autunno.
Dell’inverno, la stagione sconosciuta che veniva descritta come terribile dalle foglie degli alberi sempreverdi, nessuna di loro poteva saper nulla. In quella parte dell’anno l’albero cadeva in un letargo che gli permetteva di sopravvivere e risvegliarsi la primavera dell’anno successivo.

L’autunno era finito. L’abbassarsi improvviso della temperatura aveva provocato la caduta delle ultime foglie.
Era rimasta sola.
Attaccata al suo ramo,senza più linfa che la nutrisse, sostenuta solo dal desiderio di conoscere la primavera.
Era inverno.
Di lì a pochi giorni iniziò a nevicare. La fogliolina non conosceva la neve, ne sentì il peso sui lembi suoi gelati da quei soffici fiocchi che cadevano lievi da quel cielo plumbeo.
Sola su un ramo coperto di neve, immersa in un paesaggio irreale che mai nessun’altra aveva vissuto, aspettava.

Ma quanto ancora avrebbe dovuto attendere?
Il cielo si era rasserenato e il sole vi splendeva libero di spaziare coi suoi raggi, ma il tepore che riusciva a donare era ben poca cosa : le temperature erano basse e la fogliolina era tutta gelata.
I pochi animali che essa vedeva, che camminassero, che saltellassero o che volassero erano tutti intirizziti e si aggiravano come disperati alla ricerca di cibo.
Lasciavano impronte del loro passaggio, ma poi venivano cancellate.

Il vento aveva soffiato e forte.
Più di una volta aveva pensato di lasciarsi andare, di cadere al suolo come tutte le sue sorelle che non avevano lasciato traccia. Ma ogni volta prevaleva il desiderio di continuare e di restare avvinghiata al suo ramo con tutte le sue poche forze.

Poco a poco si era abituata allo scorrere delle giornate fredde.
Era passato gennaio con i suoi giorni di ghiaccio e febbraio trascorreva alternando vento a pioggia, ma sempre freddi.

Un poco di tepore  lo iniziò a sentire ai primi di marzo.
Aveva il sentore che la sua lunga e solitaria attesa fosse giunta finalmente al termine.
Infatti, trascorsi pochi altri giorni, il tepore iniziale era andato via via facendosi più costante, quasi a voler sottolineare il lento e sotterraneo ingresso della primavera.
Sui rami dell’albero dove era rimasta disperatamente aggrappata questa testarda e coraggiosa fogliolina, erano spuntate delle piccole gemme a testimonianza del graduale risveglio dell’albero. Al suo interno aveva ripreso a scorrere la linfa.

Lei era tutta avvizzita, non aveva uno specchio per vedersi, ma l’inverno trascorso se lo sentiva tutto addosso. Il margine della sua superficie era strappato in più punti: le nervature avevano retto con la forza della disperazione, ma non sarebbe stata in grado di affrontare un’altra primavera. Era già troppo consumata per riuscire a garantire la fotosintesi per la quale era germogliata.

Era primavera: ad una ad una si erano dischiuse le gemme dei rami dell’albero e iniziavano a colorarsi di verde. Le prime foglioline vedevano la luce tiepida delle giornate di fine marzo.
In cielo si vedevano gli stormi di rondini che tornavano dai paesi lontani del sud dove erano andati a trascorrere l’inverno.

Le foglioline stavano crescendo e il verde prendeva lentamente il sopravvento sui rami degli alberi. Le giovani foglie sorridevano felici alle giornate tiepide in cui erano germogliate e nel guardarsi intorno avevano notato la foglia avvizzita.
Le avevano chiesto incuriosite come mai fosse già così vecchia ed alla sua risposta sulle prime quasi non le credevano. Poi iniziarono a farsi raccontare le sue peripezie, di come trascorre l’intero anno nella vita di un albero.
Era divenuta la loro sorella maggiore.
In tutti i rami dell’albero le giovani foglie ascoltavano con attenzione i racconti dell’anziana fogliolina.

Ma tutti i tempi passano.
La primavera si era inoltrata già nelle giornate di fine aprile e sull’albero tutte le giovani foglie lavoravano con impegno costante alla fotosintesi clorofilliana.
L’unica non in grado di farlo era proprio lei, la fogliolina della primavera precedente.

Sapeva che era giunto il tempo di volare via dal suo ramo. Si guardò ancora intorno, quasi a salutare. Avrebbe voluto ancora, ma il ciclo della vita non si può bloccare.
La fogliolina giovane che era pronta a germogliare reclamava il suo spazio e spingendo sempre più fece staccare l’anziana che era rimasta così a lungo avvinghiata al suo ramo.
Un soffio dolce di vento l’accompagnò delicato e gli fece compiere un tragitto più largo, quasi a volerla far guardare da tutti i rami dell’albero.
Sui rami le altre foglie si mossero più volte con tutti i rami.
Fu un bellissimo saluto, degno di una personalità.

Il terreno l’accolse con un tappeto verde punteggiato di colori.
E l’atterraggio fu soffice.

Non si sa che fine abbia fatto.
Ma ancora oggi, se capitate da quelle parti, facendo attenzione al fremer delle foglie al vento in primavera, potreste riascoltare questa storia.